Flaminio Torri – Ecce homo
Torri Flaminio

- Tecnica: Olio su tela
- Dimensione: 22x27,5
- Anno: 1600
- Certificato: Sì
- Codice prodotto: scol001
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DESCRIZIONE
Il soggetto iconografico del volto di Cristo ha origini antichissime ed è connesso con la leggenda della Veronica. L’episodio per cui le vere fattezze del Cristo rimasero impresse su un panno che una donna usò per asciugargli il volto è raccontato anche dai Vangeli. Tale donna venne identificata come Veronica probabilmente dall’assonanza con le parole latine “Vera Icon”. Fin dall’epoca paleocristiana, dunque, il volto di Cristo è oggetto di una particolare venerazione. La sua rappresentazione ha attraversato tutta la Storia dell’Arte occidentale. Dalle prime rappresentazioni iconiche di epoca paleocristiana e alto medievale si è arrivati via via a descrizioni sempre più naturalistiche (a partire dal Rinascimento) o realistiche (tipiche dell’Arte Fiamminga). Il soggetto della presente opera, in particolare, segue il modello iconografico dell’”Ecce Homo”, con riferimento all’episodio della Passione in cui Cristo, successivamente al processo, venne incoronato di spine, vestito di un mantello rosso e gli fu posta in mano una canna. Tali attributi facevano riferimento al fatto che il Messia veniva definito “Re dei Giudei” da parte dei suoi seguaci, cosicché i centurioni lo vestirono di tali “paramenti regali” per esporlo all’insulto ed al dileggio. Per queste motivazioni il soggetto dell’Ecce Homo divenne, a partire specialmente dal XVII secolo, un’immagine emblematica e significativa del sacrificio redentore di Cristo. L’opera è stata attribuita, da diversi expertise, a Flaminio Torri o alla sua cerchia anche sulla base di altre opere che presentano la stessa tipologia di “Ecce Homo” e che, in riferimento all’ambito bolognese della pittura del XVII secolo, vedono come modello principale quello sviluppato da Guido Reni in diversi dipinti (tra tutte la versione conservata al Louvre di Parigi).
L’opera non solo nel modello iconografico, ma anche nella forma, si presenta come un tipico prodotto dell’ambito pittorico bolognese del XVII secolo, nella sua dialettica vivacissima tra un equilibrato classicismo e sperimentazioni barocche. Fu questa la via indicata dall’Accademia carraccesca e seguita dai più importanti pittori di quell’area (Guido Reni, Lanfranco, Domenichino). Anche la produzione di Flaminio Torri, al quale l’opera è attribuita, si trovò all’interno di questa dialettica. In questa opera, dato anche il soggetto solitario e il modello ripreso da Guido Reni, prevale il classicismo. Ci troviamo di fronte, dunque, ad una maniera pittorica figlia del grande naturalismo seicentesco che, con l’intenzione di riparare ai presunti errori compiuti dal Manierismo, si ricollegava direttamente ai grandi maestri del Rinascimento maturo, Raffaello in particolare. Da qui la monumentalità della figura ed una resa naturalistica totale la quale ha a che fare anche con Tiziano. In questo senso è emblematico come la stesura pittorica, proprio alla maniera tonale veneta, punti molto sulle qualità espressive del colore, e come l’azione della luce sia molto avanzata, quasi provocando quel disfacimento delle forme che è la cifra più riconoscibile della coeva estetica barocca. Quest’opera, tuttavia, non eccede in atmosferismi, rimanendo in quell’equilibrio di caratura classicista che vedeva proprio in Guido Reni il suo principale punto di riferimento. Piuttosto possiamo ancora scorgere qualche residuo manierista nella forma leggermente allungata del Cristo, nella tensione della sua torsione (comunque del tutto naturale) e in una certa affettazione e languidezza del suo sguardo. Ma anche quest’ultimo elemento è perfettamente in linea con l’estetica classicista del Seicento, cioè con la volontà controriformistica di esprimere una nuova religiosità, fondata su un sentimento più intimo e pietistico. Anche la tavolozza usata dall’artista ci parla di XVII secolo, nella prevalenza di tonalità scure e con la figura che emerge dallo sfondo proprio grazie all’azione della luce.
L’opera è stata attribuita, da diversi expertise, a Flaminio Torri o alla sua cerchia. Nato a Bologna nel 1620 e scomparso nel 1661 a Modena, Torri fu Allievo di Giacomo Cavedoni prima e di Simone Cantarini poi, alla morte di quest’ultimo ne ereditò la bottega insieme a Lorenzo Pasinelli. Opera nei primi anni a Bologna realizzando l’”Adorazione dei Magi” nel museo di San Giuseppe e la “Deposizione a lume notturno” della Pinacoteca Nazionale. Tra le opere più significative della sua produzione pubblica troviamo la pala d’altare “Sant’Antonio e il Bambin Gesù” della chiesa dell’Osservanza a Imola. Tra le committenze private, per le quali esegue numerose sacre famiglie e mezze figure di vario soggetto, vanno ricordate alcune versioni del “San Francesco in estasi” la “Sacra Famiglia” di Dresda, una “Madonna con Bambino” nella Collezione Amata e una serie serie di tele conservate nella Galleria Pallavicini. Successivamente il pittore si trasferì a Modena al servizio di Alfonso IV d’Este, con l’incarico di soprintendente alle collezioni.