Vittorio Sgarbi: Così bella da non sembrare una Biennale

Che scoperta, quelle «camere delle meraviglie».
Così bella da non sembrare una Biennale. Questo è il giudizio di Vittorio Sgarbi sul Palazzo Enciclopedico progettato da Massimiliano Gioni.
«Il primo giorno sono rimasto dentro all’Arsenale dalle undici del mattino alle undici di sera, dodici ore filate senza interruzioni. Se il lavoro di Gioni non mi fosse piaciuto, non l’avrei mai fatto. Sono stato conquistato dal modo in cui Gioni ha messo in piedi questa Biennale. Formidabile, una bella sorpresa per me che avevo sempre pensato a lui soltanto come a un enfant prodige, magari persino un po’ superficiale, al limite troppo vicino allo star system».

«Ho visto una mostra intelligente, intensa, forte, fatta con la testa. E con alcuni sconfinamenti affascinanti nelle nostre zone d’ombre, come nel caso di un borderline come Domenico Gnoli. Ci avrei messo, magari, qualcosa di diverso tipo il Codex di Luigi Serafini. Ma l’idea della sequenza di tante camere delle meraviglie mi ha appassionato, così come quella di iniziare con ilLibro rosso di Jung, oltretutto valorizzato dalla collocazione, sotto la cupola dipinta da Galileo Chini».
Non tutto è piaciuto al critico:«come al solito non mi sono per niente piaciuti i padiglioni nazionali. E avrei voluto più vivi e meno morti in mostra perché la Biennale deve raccontare lo stato dell’arte, i cambiamenti, anche quelli più sgradevoli della contemporaneità. E invece qui si aveva la sensazione di visitare un museo. Ma lo ripeto, il mio giudizio sulla Biennale di Gioni rimane molto positivo».

Diverso il suo giudizio sul Padiglione Italia di Bartolomeo Pietromarchi».
«Un cimitero, una mostra mortifera e penitenziale che finisce per trasmettere un’idea molto negativa dell’arte italiana. Alcune scelte poi, come quella di rimettere in piedi Ideologia e natura, una performance di Fabio Muri del 1973, appaiono come operazioni anacronistiche e prive di significato».

Del padiglione Italia curato dal critico la scorsa edizione dice: «Molto meglio, perché almeno si respirava un’aria vera, anche se qualche volta poteva essere un’aria sgradevole. Stavolta quelli che c’erano se non erano morti erano troppo perfetti, precisini e noiosi, quasi imbalsamati. Un vero e proprio cimitero dell’arte, appunto. Come poteva piacermi un padiglione così?».

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